The happiness factory: un ufficio per sognare.
Internal Branding
The happiness factory: un ufficio per sognare.
30/05/2012

A cura della Redazione di Brandforum.it
Polisensoriale, coinvolgente, dal forte impatto emozionale: l’ambiente di lavoro preferito dai “nativi digitali” è un luogo d’incontro per generatori d’idee.

Cresciuti in un mondo profondamente segnato dalla diffusione delle nuove tecnologie, parlanti “nativi” dei linguaggi digitali, dotati di uno straordinario talento nel costruire e mantenere in contatto le reti, i giovani appartenenti alla generazione dei Millennials – ossia quanti sono entrati, o stanno per entrare, nel mondo degli adulti in data successiva all’inizio del nuovo millennio – rappresentano una forza dirompente, con una popolazione stimata, soltanto negli Stati Uniti, di oltre 70 milioni di soggetti e un potere d’acquisto superiore ai 200 miliardi di dollari.

 

La gran parte di loro è da poco entrata, o si accinge ad entrare, nel mondo del lavoro, facendosi carico di nuove istanze, che mettono in crisi il vecchio paradigma delle risorse umane: non più assumere, formare, supervisionare, mantenere, ma piuttosto – come suggerisce Don Tapscott – creare relazioni, coinvolgere, collaborare ed evolversi.


Funky office, co-working, open plan, serra creativa: anche gli spazi fisici sono investiti da questa richiesta di cambiamento.


Può sembrare paradossale, ma nell’era del crowdsourcing, dei social network, degli uffici itineranti, si fa sempre più pressante l’esigenza di restituire il senso della territorialità e del radicamento in un luogo – fisico e concreto, denso di significati – a chi per lavoro frequenta gli spazi liquidi ed im¬materiali della nuova economia informazionale. Non a caso, l’ambientazione più adatta al lavoro dei Millennials sembra essere qualcosa di simile ad un coffee shop Starbucks: una sorta di “third place”, uno spazio intermedio tra casa ed ufficio, ove incontrare altre persone, conversare e interagire, mettere in comune conoscenze e in-formazioni, condividere emozioni ed intuizioni.


Del resto, la contaminazione tra logiche lavorative e dinamiche del tempo libero, ma anche la sovrapposizione tra esperienza e finzione, autenticità e seduzione, è riconoscibile nei progetti innovativi di numerose aziende: da Volkswagen a Nike, da Microsoft a Google, da McLaren a Redbull.

E’ un percorso, che si presta a molteplici chiavi di lettura: l’esigenza di re-incantare i luoghi del lavoro trasforma l’impresa in un “regista di esperienze”, chiamato ad offrire sollecitazioni sensoriali e situazioni coinvolgenti, non solo per favorire lo spirito di squadra dei dipendenti, ma anche per catturare l’attenzione dei media e il consenso dei consumatori.


A questi temi è dedicato il volume di Gabriele Qualizza, Transparent Factory. Quando gli spazi del lavoro fanno comunicazione, edito da FrancoAngeli. Un tentativo di leggere il “racconto” di marca da una prospettiva inconsueta: quella degli ambienti di lavoro, non più intesi come semplici contenitori, ma come “piattaforme di relazione”, rappresentazioni tangibili – nella logica dell’Internal Branding in 3D – dei mondi possibili e degli immaginari evocati dai brand.

 

Su SlideShare è possibile trovare la presentazione del volume realizzata presso l'Università Cattolica a Milano, nell’ambito del corso di Storia e linguaggi della pubblicità, tenuto da Patrizia Musso: http://www.slideshare.net/fullscreen/gabriele_qualizza/transparent-factory/1

 

La scheda del volume nel sito dell’editore FrancoAngeli: http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_libro.aspx?ID=18584

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