Nel mondo economico l’impresa è soggetta ad una serie di pressioni esterne. Una delle più importanti è il cambiamento; è una costante dei nostri tempi e può manifestarsi sotto diverse forme: le modifiche nello stile di vita, le disposizioni legislative, le nuove modalità di svolgimento della concorrenza, la crescita economica, l’aumento delle dimensioni aziendali, il cambiamento della forma societaria. L’azienda deve essere pronta al cambiamento se vuole reggere il confronto; potrà , pertanto, creare nuove attività economiche, nuove strutture organizzative e prodotti innovativi oppure nuovi canali distributivi attraverso fusioni o integrazioni orizzontali. Queste modifcazioni avvengono solitamente a spese di una precisa identità aziendale, in precedenza chiaramente percepita nel mondo degli affari. La revisione dell’identità visiva può essere fondamentale per il cambiamento di indirizzo strategico; ciò arreca notevoli vantaggi alla gestione in un mercato altamente concorrenziale.
In pratica, quando una azienda decide di cambiare o di modificare il suo marchio? Solitamente in occasione di acquisizioni o di trasformazioni societarie: ad esempio, le Ferrovie dello Stato dal 1992 sono diventate ‘società per azioni’ e questo profondo cambiamento di natura istituzionale doveva essere chiaramente percepibile; da qui l’esigenza di avviare il progetto di una nuova corporate identity. Oppure la società Autogrill che nel 1977, al momento dell’acquisizione dei marchi Motta, Pavesi e Alemagna, ha originariamente affiancato, e non sostituito, i tre marchi con il marchio Autogrill per evitare disorientamento nei clienti e rafforzare il concetto di catena; ma poi la strategia è stata quella di concentrare sempre più la comunicazione visiva aziendale sul solo marchio Autogrill.
In circostanze diverse, un buon motivo per attivare questa operazione potrebbe essere un oggettivo miglioramento del servizio offerto o del prodotto venduto, cui sarebbe doverosa l�esplicitazione anche in termini di identità visiva. Alcune volte, però, queste modifiche non vengono attivate per una necessità oggettiva ma per la gloria di qualche dirigente che, in tal modo, vuole lasciare traccia del proprio passaggio. In altri casi si opera il restyling quando, partendo da una analisi del mercato, l’azienda si rende conto che è necessario un riposizionamento poichè registra un pressante bisogno di adeguamento linguistico del suo marchio ormai invecchiato. Questa possibilità è chiaramente opinabile perchè non è detto che un marchio ‘moderno’ sia comunque più rassicurante di un altro di radicata notorietà , capace di comunicare valori proprio per la sua storicità .
Questo dilemma ricorre spesso nelle politiche di marchio delle aziende con forte tradizione. Da una parte, c’è la cautela conservativa che valuta tutte le componenti di inerzia legate alla storia comunicativa del suo patrimonio visivo e spingerebbe per lasciare inalterato ogni elemento; esprime, poi, il timore della perdita di identità , della non riconoscibilità del marchio storico e di una sua conseguente diminuzione di valore.
Un marchio è, come qualsiasi altro artefatto, un progetto dell’epoca in cui fu creato e, pertanto, queste aziende privilegiano l’accumulazione del capitale di riconoscimento; esse sanno che il marchio è, innanzitutto, una garanzia e che il tempo lavora per lui. Un passato storico, documentato e ricco di successi se lo può permettere solo chi c’è l’ha; il futuro, a parole, oggi sembra che se lo possano permettere tutti. Dall’altra parte, si apre una questione valida per ogni realtà comunicativa già affermata. E’ infatti comunemente riconosciuta la natura entropica della marca: la marca è un sistema che va alimentato costantemente sia in termini di investimenti comunicativi di rinforzo, pubblicità ed altri interventi, sia a livello di vere e proprie innovazioni da inserire sul suo ‘corpo’ storico. Il motivo è evidente: muta il pubblico di riferimento, anche quello già legato alla marca, e gli effetti della concorrenza logorano l’efficacia dei discorsi già fatti; necessitano nuovi argomenti, nuove proposte. E soprattutto nelle fasi di mutamento generale, anche il segnale in sé del restyling del marchio è un messaggio positivo per posizionare la marca in un contesto in movimento. Comunque, le operazioni di restyling richiedono cautela perchè una corretta politica di marchio prevede la sua revisione periodica, senza grandi e improvvise modifiche che sarebbero traumatizzanti. Un aggiornamento progressivo, invece, quasi non è avvertito dai fruitori ma si concretizza e si consolida nel tempo. E’ noto che alcune aziende hanno speso enormi somme per testare la fondatezza di un piccola variazione del proprio marchio.
I marchi sono sottoposti anche a fisiologici restyling per ragioni varie: nel passato la sua trasformazione era dovuta al cambiamento degli stili artistici cui l’azienda, o il grafico, si adeguava; i marchi italiani del secolo scorso furono influenzati dallo stile liberty, dallo stile Novecento e dallo stile fascista, come nel marchio Ansaldo del 1938. Poi, quando si affidava la realizzazione di un manifesto pubblicitario ad un famoso cartellonista, egli interpretava, con il suo stile, anche lo stesso marchio; in assenza di vincoli grafici, l’azienda poteva disporre di diversi marchi ‘originali’, come per Campari. Questi originali potevano smarrirsi e, nella ricostruzione, i copisti potevano aggiungere o sottrarre, a loro piacimento, elementi grafici modificando notevolmente il marchio storico, come nel marchio Plasmon. Non dimentichiamo che i clichés di legno, agli albori della moderna tipografia, non assicuravano l’iterazione costante del marchio poichè erano fisicamente destinati, per la pressione e per lo specifico materiale, ad alterarsi e ad arrotondare gli angoli spigolosi; così i caratteri appena graziati dei logotipi d’epoca si sono trasformati in bastoni, con evidenti distonie.
L’interessamento verso questa tematica iniziò nel 1988, quando iniziavo a preparare la tesi di laurea in ‘Commercio internazionale e mercati valutari’ presso l’Istituto Universitario Navale di Napoli. Era intitolata ‘La grafica nella comunicazione aziendale con particolare riferimento alle strategie di marketing’ e, per realizzarla, consultai diversi libri di grafica tra cui un libro danese (Per Mollerup, The Corporate Design Programme, Danish Design Council, Copenhagen, 1987) sulle politiche di marchio; tra le altre cose, mi colpì molto la trattazione di una tipica strategia di marketing: quella del restyling del marchio aziendale. Poi, nel 1992 acquistai un libro francese (Daniel Cauzard, Jean Perret, Yves Ronin, Images de marques / Marques d’images, Edition Ramsay, Parigi, 1989) che raccoglieva le storie grafiche delle maggiori aziende transalpine; diedi inizio così ad una ricerca, di tipo scientifico, quando decisi di realizzare la medesima indagine per le maggiori aziende italiane. Dall’incontro con Rocco Centorrino, direttore editoriale della rivista ‘Grafica & Disegno’, nacque l’idea di realizzarne un libro che rappresentasse un valido contributo all’approfondimento ed alla valorizzazione della storia industriale e grafica italiana.
Le difficoltà incontrate nella raccolta della documentazione dimostrano fino a che punto le imprese italiane conoscono male la loro storia visiva; non sanno che la storia di una grande azienda è, parimenti, parte della storia della comunicazione visiva. Per di più, nonostante la buona volontà degli anziani dell’impresa, generalmente destinati alla conservazione del patrimonio grafico, numerose sono le aziende che deficitano di informazioni precise sulle tappe della propria storia grafica e sulle ragioni che ne hanno giustificato le evoluzioni. Basti pensare che non tutte le aziende trattate posseggono la monografia aziendale e solo poche dedicano, nella sezione storica del sito internet, una rifessione sulla propria comunicazione visiva.
Il recupero delle informazioni ha interessato diverse fonti. Quelle dirette, attraverso i contatti con gli uffici di comunicazione che mi hanno fornito il manuale d’identità visiva, la monografia aziendale o delle stampe d’epoca, alcune delle quali inedite, come per la Pirelli. Quelle indirette, attraverso la letteratura grafica esistente e attraverso le interviste ai designers che hanno progettato i marchi; questi, talvolta con la semplice conferma di una data, hanno contribuito a fissare la storia grafica di un’azienda, non rintracciabile altrimenti. In questo modo, io ed i miei due soci abbiamo avuto la possibilità di conoscere di persona i maggiori designers italiani e stranieri che hanno dimostrato grande disponibilità e trasporto per il proprio contributo alla storia della grafica aziendale italiana. Ancora poi, visitando i mercatini di antiquariato per recuperare giornali, riviste e testimonianze d’epoca in modo da confermare, ove possibile, date e causalità . Comunque sia, la storia di alcuni marchi rimane misteriosa e di non facile ricostruzione; talvolta gli unici documenti reperibili non sono fonti dirette; pertanto, in questi anni, nella ricostruzione di alcune storie mi sono trasformato in grafico archeologo!
Il libro, composto da 224 pagine a colori, ha ottenuto il patrocinio dell’AIAP, Associazione Italiana Progettazione per la comuncazione visiva, e presenta i testi introduttivi di Mario Piazza (presidente AIAP), Carlo Branzaglia (teorico della comunicazione), Giovanni Brunazzi (grafico), Daniele Baroni (storico e critico del design); segue, poi, la trattazione dei 60 casi, disposti in ordine alfabetico, che segue la logica della cronologia nonchè la presentazione dei marchi con, ove possibile, una o più applicazioni su pagine pubblicitarie, manifesti o tavole del manuale di identità visiva.
Nel 1985 Raffaele Fontanella e Maurizio Di Somma hanno costituito lo studio ‘R&M Associati Grafici’. Soci professionisti AIAP ‘Associazione italiana progettisti per la comunicazione visiva’ dal 1989, svolgono la propria attività occupandosi prevalentemente dell’identità visiva aziendale, del packaging, dei sistemi di segnaletica e della grafica di pubblica utilità . Vincitori di diversi concorsi nazionali, fra cui quello per il marchio del ‘Polo Universitario Grossetano’ (2000) e quello per il marchio della ‘Federazione italiana Dama’ (2003).
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Raffaele Fontanella ha ricoperto la carica di proboviro nazionale e di consigliere regionale campano. Nel 1990 ha conseguito la laurea in ‘Commercio internazionale e mercati valutari’ presso l’Istituto Universitario Navale di Napoli con la tesi intitolata ‘La grafica nella comunicazione aziendale e le strategie di marketing’.
Maurizio Di Somma, dopo aver frequentato la facoltà di Architettura in Napoli, ha frequentato il corso di grafica e design presso l’Istituto Superiore di Design di Napoli e poi, dal 1988 al 1991, il laboratorio didattico di Franco Canale.
Nel 1995 è entrato in studio Marcello Cesar.