Vivere cento anni: il segreto della longevità (aziendale)
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Vivere cento anni: il segreto della longevità (aziendale)
19/12/2018

Nicola Lanzetta, Responsabile Mercato Italia di Enel, Guest di Brandforum
Secondo una ricerca di McKinsey, nel 1958 una grande società viveva in media sessantuno anni, oggi meno di diciotto. Come si può resistere nel tempo, in un’epoca così convulsa, nella quale le dieci professioni più richieste del futuro oggi non si studiano nemmeno all’università?

Vi siete mai chiesti qual è la speranza di vita di un'azienda? Viviamo in un'economia che ha drammaticamente accelerato il suo metabolismo: si nasce, si cresce e si invecchia a una velocità prima impensabile. Secondo una ricerca di McKinsey, nel 1958 una grande società (una S&P 500, per intenderci) viveva in media sessantuno anni, oggi meno di diciotto.

 

Questo ha portato anche l'età media ad abbassarsi. Se fossero persone, alcune tra le società più capitalizzate al mondo si sarebbero appena iscritte alle superiori (Facebook, quattordici anni), all'università (Google, o meglio Alphabet, venti anni), si sarebbero appena laureate (Amazon, ventiquattro anni) o sarebbero al massimo nella prima metà della propria carriera (Apple, quarantadue anni). Questi dati ci mettono di fronte a una serie di domande: come possiamo assicurarci di avere un impatto duraturo? Come si può resistere nel tempo, in un'epoca così convulsa, nella quale le dieci professioni più richieste del futuro oggi non si studiano nemmeno all'università? Come si fa a rimanere solidi, rilevanti, forti per un arco che vada bene oltre il presente?

 

A queste domande risponde un lungo studio (sia in termini di durata che di approfondimento) portato avanti dalla Harvard Business Review, basato una domanda simile alle precedenti, forse solo più ambiziosa: come può un'organizzazione sperare di durare più di cento anni?

 

La longevità ha sempre affascinato i ricercatori di ogni settore. Gli studi medici e sociologici su quella degli esseri umani somigliano a quelli sulle epidemie: si individuano le aree nelle quali le persone vivono più a lungo e si prova a capire cosa, nella natura del luogo, nella genetica, negli stili di vita, abbia permesso ai centenari di essere tali in percentuali così massicce.

Queste aree hanno anche un nome: si chiamano Zone blu, sono le regioni al mondo nelle quali si vive meglio e soprattutto più a lungo. La Barbagia in Sardegna:, l'isola di Ikaria in Grecia, la penisola di Nicoya in Costa Rica, Okinawa in Giappone e Loma Linda in California. Angoli del globo molto diversi tra loro, accomunati da una serie di caratteristiche che gli studiosi chiamano «Power Nine», i nove segreti di lunga vita: reti sociali solide, stress ridotto, alimentazione con poca carne, esercizio fisico. La Harvard Business Review ha replicato la stessa operazione sul piano delle organizzazioni e delle aziende, studiando quelle che sono riuscite a rimanere attive e vincenti per oltre cento anni. Come nel caso delle Zone blu, sono un insieme molto eterogeneo (si va dalla NASA alla Royal Academy of Music, dal college di Eton agli All Blacks di rugby) con però una serie di qualità simili da distillare e studiare.

 

 

Sono destinate a durare a lungo, secondo HBR, le organizzazioni che sanno essere «radicalmente tradizionali», con un cuore di valori stabili accompagnato da uno spirito innovativo e dirompente. Conservare la propria identità e la propria riconoscibilità senza smettere di evolversi è uno dei compiti più complessi per chi si occupa di leadership. Il modo in cui le «Centennial» ci sono riuscite, secondo HBR, è un'instancabile tendenza a guardare fuori e non solo dentro di sé, ragionando sempre su un'orizzonte che andasse dai venti ai trent'anni in avanti. La loro ambizione, la scala sulla quale hanno misurato i propri successi, è uno dei segreti della loro longevità. Non volevano solo essere efficienti e crescere, ma hanno sempre aspirato ad avere un impatto sul contesto, la società e le sue conoscenze. Un prodotto indovinato può garantire qualche anno di successo e buoni margini di guadagno, ma la maratona può correrla solo chi ha la visione generale per capire e influenzare la società intorno a sé.

 

Per influenzare il mondo serve la capacità di contaminarsi. L'efficienza non sempre viene dal mettere insieme persone e talenti affini e predisposti a lavorare fianco a fianco: in questo modo si creano anzi zone di comfort e angoli ciechi. Le linee di lavoro tra talenti opposti e con formazioni diverse creano nel breve termine conflitti e scossoni ma sprigionano energie intrappolate nel corpo dell'azienda, spingono tutti a mettersi in discussione, producono quelle idee necessarie a durare in archi di tempo molto lunghi. La Royal Academy of Music chiede per esempio ai tutor di fare review di lavori fuori dal proprio campo di competenza: è un modo per consentire ai punti di vista di circolare più liberamente. E questo vale anche per gli stimoli esterni: la capacità di trovare le idee dove i tuoi concorrenti non guarderebbero mai. È il motivo per cui gli All Blacks sono andati a lezione da un corpo di ballo di danza classica: per imparare quello che ancora non sapevano sulla sincronizzazione dei movimenti.

 

(L'importanza di contaminarsi e di sincronizzarsi all'interno delle aziende)

 

 

Sembra apparentemente opposto, ma un altro punto cruciale è la continuità: per evolverci dobbiamo sapere chi siamo. La maggior parte delle organizzazioni cambia i leader ogni cinque anni, le Centenarie li tengono in carica per oltre dieci, curando con attenzione maniacale le transizioni, affinché il patrimonio di conoscenza del leader non si perda con la sua uscita di scena. L'Head Master di Eton rimane in carica tredici anni, il passaggio di consegne ne impiega due per completarsi e il vecchio capo, non più in carica, rimane a Eton ancora un lustro per offrire consiglii e supporto al successore. Infine, l'ultimo aspetto che caratterizza chi sa dominare a lungo: la gestione delle vittorie: cosa significano, cosa impariamo, come possono a volte limitarci. Sono quelli i momenti in cui si deve innanzitutto alzare la guardia, analizzando ossessivamente ogni dettaglio. Dopo ogni missione, la NASA fa un debriefing di due anni. E poi, rovesciando un famoso adagio del mondo del calcio, le squadre che vincono devono cambiare. Quasi scherzando, un rappresentante della Royal Shakespeare Company, citato nello studio, dice: «Se più del 20% delle nostre idee ha successo, noi ci preoccupiamo. Vuol dire che non stiamo facendo abbastanza cose nuove».

 

Che poi mi sembra la spiegazione migliore di come siano riusciti a durare (prima come Shakespeare Memorial Theatre e poi come Royal Shakespeare Company) quasi 140 anni.

 

 

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Nicola Lanzetta, Responsabile Mercato Italia di Enel, Guest di Brandforum

 

A cura di

Nicola Lanzetta

Responsabile Mercato Italia di Enel

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