Student transformation: il marketing universitario come leva vincente per una gestione strategica delle esperienze
Brand life
Student transformation: il marketing universitario come leva vincente per una gestione strategica delle esperienze
11/10/2013

Simone Moriconi, Network di Brandforum.it
Spesso le Università tendono a sottovalutare l’importanza di fare marketing per attrarre studenti e competere sul mercato. In Italia gli esempi di buon marketing universitario non mancano ma c’è ancora molto da lavorare per concorrere con le realtà estere.

Quanto conta il marketing per un’università? Molto, se consideriamo che le stime della domanda (le iscrizioni) sono in calo, l’importanza di attrarre studenti acquisisce una rilevanza che va gestita a livello strategico, come per ogni impresa “classica”.

 

In Italia gli esempi di buon marketing universitario non mancano, ma è dall’estero che possiamo prendere degli spunti da replicare e adattare alle nostre realtà.

 

Basandomi sull’esperienza alla Copenhagen Business School e sul lavoro di ricerca fatto per la mia tesi magistrale, voglio fare il punto sugli aspetti che andrebbero più considerati da un ateneo, sia esso privato o pubblico, per differenziarsi sul mercato.

 

Partendo dalle teorie di Pine e Gilmore (http://www.ibs.it/code/9788845309892/pine-joseph-b-/economia-delle-esperienze.html) sul marketing esperienziale, la prima cosa da dire è che l’università non è un semplice fornitore di servizi didattici. È piuttosto un contenitore di esperienze che trasformano l’individuo a livello professionale e sociale.

 

Dal momento in cui si iscrive, al momento in cui esce con una laurea in mano, lo studente è cambiato, si è arricchito, ha maturato esperienze, relazioni, opinioni. Pertanto, l’università dovrebbe considerare gli studenti come “prodotti”, e ogni attività come un’esperienza (educativa, di intrattenimento, di evasione) che va a comporre la learning experience complessiva.

 

Questo processo di trasformazione dell’individuo può essere  gestito strategicamente attivando iniziative e progetti che guidino gli studenti lungo il proprio percorso, per cui la promise iniziale (“cosa vuoi diventare”) sia quanto più possibile rispettata. Senza creare false illusioni occupazionali (il lavoro sicuro), anzi favorendole, né omologazioni (la carriera a tutti i costi), ma preparando il ragazzo ad affrontare le sfide che gli si porranno davanti – con particolare focus su imprenditorialità, autoformazione e progettualità – e in base alle attitudini dello stesso.

 

“Student trasformation”, dunque, che passa attraverso la creazione di esperienze da vivere all’interno dell’ateneo, che vengono sì vissute in ogni caso (gli studenti si auto-organizzano), ma come ci insegnano gli stessi Pine e Gilmore, possono essere progettate ad hoc creando “occasioni di esperienza”: organizzando eventi, fornendo spazi e riempiendoli di contenuti, collaborando con gli stessi studenti alla pianificazione delle attività. Nei bar all’interno delle Facoltà, ad esempio, si possono allestire party tematizzati a sfondo culturale, come occasione di divertimento, di relazione, ma anche di confronto.

 

La learning experience, infatti, non è confinata alle attività in aula, ma presenta anche delle forti componenti di socialità e di divertimento: non a caso, nei campus americani, molte attività per sviluppare senso di appartenenza sono quelle sportive, tornei e campionati che hanno validità anche ai fini di credito (vedi Michigan State University http://www.brandforum.it/papers/1165/michigan-state-university-quando-l-universit%C3%A0-diventa-brand-i-puntata).

 

I collegi, i gruppi studenteschi, le confraternite, le aule, gli spazi comuni, le biblioteche, gli eventi atletici e sportivi, contribuiscono a mettere insieme gruppi di iscritti che sono legati all’istituzione accademica. Il management universitario può pertanto trarre beneficio dalla promozione di una brand community di studenti appartenenti al marchio dell’Ateneo.

 

Si tratta di marketing tribale, cosa che molte grandi università nel mondo sanno fare benissimo: generare quel “valore di legame” che fa della fruizione dei servizi e dell’esperienza universitaria un modo per unire gli studenti attraverso relazioni interpersonali.

 

Le università, inoltre, sono attori che fanno parte dell’area urbana nella quale sono inserite. Attirano risorse in numero elevato (studenti, docenti, imprenditori) e contribuiscono all’aumento del giro d’affari dei business locali. Questo aspetto, da non sottovalutare, apre una serie di prospettive di destination marketing. Gli atenei possono organizzare attività e iniziative per il territorio, diventando dei veri e propri “centri di progettualità”.

 

Ad esempio, organizzando progetti che leghino gli studenti all’ambito cittadino (la rivitalizzazione di un parco dagli studenti di Scienze Naturali, la vivacizzazione di un quartiere dagli studenti di Architettura, la realizzazione di iniziative di marketing territoriale dagli studenti di Economia…); oppure, ospitando mostre ed esposizioni temporanee di artisti ed artigiani del luogo; o diventando essi stessi uno dei tasselli degli itinerari turistici: atenei con sedi storiche, infatti, possono valorizzare le loro strutture e permettervi l’accesso dei turisti della città.

 

E poi, non dimentichiamo che le università si interfacciano con il sistema delle imprese, il quale richiede neolaureati preparati, flessibili e competenti. Qui entra in gioco il saper fare rete: gli studenti non necessitano solamente di una didattica di tipo teorico correlata, al più, da ore di tirocinio obbligatorie. Ci vuole un network attivo di contatti con la comunità di business, con gli incubatori.

 

Gli studenti vanno incoraggiati ad avviare progetti e attività anche prima di laurearsi, imparando a prendersi dei rischi, a gestirli e a venire fuori da ogni tipo di situazione. E poi, il dialogo costante con il mondo del lavoro garantisce un continuo aggiornamento sulle necessità delle imprese, che cambiano molto velocemente (si pensi al web 2.0 e come sia impossibile starvi al passo con gli approcci tradizionali).

 

Insomma, ribaltando un po’ la prospettiva e adottando una visione di marketing esperienziale, si comprende che il ruolo e gli interlocutori di un Ateneo si amplificano notevolmente rispetto alla concezione tradizionale  che vede l’università come un mero fornitore di servizi.

 

Sulla base di questo approccio, si può adattare tutta la strategia di comunicazione, che a questo punto sarà molto più focalizzata sull’individuo, le potenzialità di cambiamento, l’ascolto e il dialogo (anche tramite social network), la socializzazione e il bagaglio di esperienze, declinate ai punti di forza e caratterizzazione del singolo ateneo. E poter tirar fuori qualche mossa creativa, che si distacchi dai soliti cliché comunicativi di volti sorridenti e libri in mano.

 

Si perché in fondo, al centro di tutti questi processi vi sono gli studenti e le loro aspettative, i loro bisogni e le loro problematiche, elementi che vanno attentamente e periodicamente sondati. Il faro che deve guidare l’operato degli atenei, infatti, è la soddisfazione degli studenti per le attività messe in atto, per la qualità della docenza, per i servizi e per le strutture di supporto. Il patrimonio intangibile di un Ateneo, formato da visibilità, reputazione e prestigio, incrementa anche quello tangibile, aumentando la student retention e i tassi di iscrizione.

 

——————-

Simone Moriconi. Laureato in Marketing e Comunicazione per le Aziende presso l'Università degli Studi di Urbino, si occupa di marketing, e-commerce e comunicazione online e offline. E' anche un blogger e svolge servizi di consulenza di marketing “low-budget” per piccole aziende e organizzazioni.
 

A cura di

Ti potrebbe interessare anche...

Recensione del libro del sociologo Luca Ricolfi, La società signorile di massa, Milano, La nave di Teseo editore, 2019

Mirko Olivieri, Junior Editor di Brandforum.it

Quali dinamiche comunicative scendono in campo quando si tratta di coinvolgere la Generazione Z? Intervista a Francesco Marinelli, Editor in Chief di Scuola Zoo